Le ripetute rappresentano una delle più importanti metodologie di allenamento nella corsa. Servono a stimolare la capacità aerobica, migliorare la velocità, aumentare la tolleranza al lattato e innalzare la soglia anaerobica.
In qualsiasi protocollo di ripetute, tuttavia, non è solo lo sforzo che conta, ma anche il modo in cui viene gestito il recupero tra una frazione e l’altra.
Il recupero può essere di due tipi:
● Recupero attivo: durante la pausa l’atleta mantiene un’attività motoria leggera
● Recupero passivo (o da fermo): durante la pausa l’atleta si ferma completamente o riduce l’attività al minimo.
La scelta tra recupero attivo o da fermo non è banale, deve tenere conto di:
· obiettivo dell’allenamento
· intensità delle ripetute
· lunghezza delle pause
· condizione dell’atleta
· momento della stagione.
Meccanismi fisiologici: cosa avviene durante il recupero
Prima di capire quando usare cosa, è utile esaminare che cosa accade nel corpo durante le pause:
● Smaltimento del lattato e delle scorie metaboliche: durante lo sforzo, specialmente ad alta intensità, si accumulano metaboliti (in particolare l’acido lattico e i suoi derivati). Un recupero attivo favorisce una maggiore perfusione (maggior flusso sanguigno) nei muscoli, che può “trasportare via” più rapidamente queste scorie metaboliche.
● Ripristino delle riserve energetiche e della fosfocreatina: alcuni processi di recupero come la risintesi della fosfocreatina, il ripristino dei fosfati ad alta energia e la restituzione del debito di ossigeno, sono più efficienti in uno stato di riposo o di bassa attività, il ripristino necessita di richieste metaboliche basse. In presenza di recupero attivo troppo intenso è il recupero stesso che consuma energia, sottraendo risorse al processo di ripresa.
● Impatto sulla qualità del lavoro successivo: se il recupero non è sufficiente (sia in termini di durata che di modalità), la qualità delle ripetute successive può degradare. Si fa più fatica, o non si riesce, a mantenere la velocità o il ritmo previsto. Soprattutto in caso di intensità massimali un recupero da fermo può permettere di mantenere più facilmente la qualità dell’allenamento nel suo complesso.
● Adattamenti allenanti: in molti protocolli, il recupero attivo viene utilizzato come stimolo allenante. Forzare con moderazione lo smaltimento del lattato mantenendo l’attività anche nella fase di pausa, può insegnare al corpo a tollerare meglio lo stress metabolico. Questo è uno dei motivi per cui il recupero attivo è spesso raccomandato in allenamenti che mirano a sviluppare capacità di smaltimento del lattato. Tuttavia, ciò deve essere ben dosato per evitare sovraccarichi.
Quando usare il recupero attivo e quando il recupero da fermo
Non esiste una risposta univoca “recupero attivo è sempre meglio” o “recupero da fermo è sempre meglio”. La scelta dipende da una serie di fattori:
● In base all’intensità dello sforzo
○ Ripetute vicine alla soglia aerobica / soglia anaerobica moderata
In questo tipo di lavori (es. 800–1.500 m a ritmo soglia o leggermente sopra), il recupero attivo è spesso consigliato perché favorisce lo smaltimento del lattato e aiuta l’adattamento metabolico.
○ Ripetute ad alta intensità (intorno al VO₂max o sopra)
Quando l’intensità è molto elevata, il recupero attivo può “rubare” energie utili al processo di recupero fisiologico (ricarica dei fosfati, restauro del metabolismo). In questi casi, un recupero da fermo (o passivo) può permettere di mantenere una maggiore qualità nelle ripetute successive.
● In base alla durata della ripetuta e del recupero
○ Quando le ripetute sono più lunghe (es. > 2–3 minuti), spesso si opta per recuperi più “attivi” — magari corsa lenta o jogging — perché il recupero completo richiederebbe tempi molto lunghi, ostacolando la densità dell’allenamento.
○ Se le ripetute sono molto brevi ma intense (es. 200–400 m sprint), e i recuperi sono brevi, il recupero da fermo può essere più adatto per non compromettere la qualità del successivo sprint.
● In base al momento della stagione e alla condizione dell’atleta
○ In periodi di costruzione (bassa intensità, alto volume), si preferisce spesso il recupero attivo, per stimolare una buona capacità metabolica e resistenza generale.
○ In fase agonistica, dove contano prestazioni massimali e qualità alta, può essere preferibile inserire più recuperi da fermo per massimizzare la qualità delle ripetute.
○ Atleti con minore capacità di recupero o soggetti a infortuni possono ricevere benefici da un uso maggiormente conservativo del recupero da fermo, per evitare accumuli di fatica.
● In base alla lunghezza della gara obiettivo
○ Per distanze brevi–medie (es. 800–1.500 m), dove la componente anaerobica è rilevante, il recupero da fermo trova largo spazio.
○ Per distanze più lunghe (5.000 m, 10.000 m, mezza maratona), in cui prevale la resistenza aerobica, si tende a usare più recuperi in corsa (attivo) che consentano di simulare la gestione dello sforzo lungo e il recupero in condizioni dinamiche.
Errori comuni e suggerimenti
Recuperi troppo rigidi: usare sempre recuperi da fermo può abbassare la capacità metabolica di smaltimento; troppo recupero passivo riduce la densità dell’allenamento.
Recuperi troppo “forti” durante il recupero attivo: se corri troppo veloce nella pausa, rischi di “cannibalizzare” l’energia che serve al recupero stesso.
Non adeguare al livello dell’atleta: atleti meno esperti possono patire troppo l’accumulazione di fatica e dovrebbero usare più recupero da fermo nei lavori intensi.
Ignorare le sensazioni: spesso il corpo “parla”. Se senti che le ripetute successive non rispettano i target, probabilmente il recupero non è adeguato.
Integrazione nel piano di allenamento stagionale
· Un buon allenatore non usa solo una modalità fissa, ma alterna recuperi attivi e da fermo durante la stagione.
· In periodi di costruzione (base) si enfatizza il recupero attivo con lavori aerobici più lunghi.
· Più ci si avvicina all’agonismo e alle gare, più si alzano le intensità e si inseriscono recuperi da fermo.
· In fasi di recupero (post-gara, microcicli rigenerativi), si privilegia il recupero attivo leggero e movimenti di defaticamento invece che lavori intensi.
In questo modo si ottiene un mix che stimola adattamenti metabolici, protegge la qualità e aiuta la gestione della fatica.
Conclusione
La dicotomia recupero attivo vs recupero da fermo non ha una risposta assoluta: non esiste un’opzione sempre migliore dell’altra. Ogni scelta va calibrata secondo:
● l’intensità e la durata delle ripetute
● la qualità che si vuole mantenere nelle frazioni successive
● il grado di allenamento e la capacità di recupero dell’atleta
● il periodo della stagione e l’obiettivo finale
Un programma ben costruito alterna e modula queste strategie in modo intelligente, per massimizzare l’adattamento fisiologico e prestativo.
Definizioni:
Capacità aerobica: capacità dell’organismo di utilizzare ossigeno per produrre energia durante attività prolungate e a bassa/media intensità. È anche la misura di quanto l’organismo è allenato a resistere a lungo, usando ossigeno, senza andare in affanno.
Soglia Anaerobica: massima intensità di esercizio sostenibile durante attività prolungate senza accumulare lattato in eccesso nel sangue. Indica il punto a partire dal quale l’organismo non riesce a smaltire l’acido lattico prodotto dall’attività intensa, con conseguente rapido aumento della sensazione di fatica.
Soglia Aerobica: La soglia aerobica è il momento a partire dal quale il metabolismo aerobico, che produce energia con l'ossigeno, non è più sufficiente da solo e inizia a essere supportato da quello anaerobico, che in assenza o con quantità limitata di ossigeno, produce energia sfruttando principalmente i carboidrati. Questo momento si verifica quando la concentrazione di acido lattico nel sangue raggiunge circa 2 mmol/l.
È l’indice della potenza aerobica di un atleta, e rappresenta la quantità massima di ossigeno (espresso in ml/kg/min) che un individuo può utilizzare durante un esercizio fisico di endurance. È considerato uno dei migliori parametri per valutare la resistenza cardiorespiratoria di un atleta e il suo potenziale aerobico: fornisce informazioni preziose sullo stato di forma fisica e sulla capacità di un atleta di eseguire attività di lunga durata a intensità elevata. Più alto è il valore del VO2max, maggiore è la capacità dell’atleta di sostenere sforzi fisici prolungati.
Perfusione: in ambito sportivo si riferisce alla circolazione del sangue nei tessuti e muscoli, essenziale per il trasporto di ossigeno e nutrienti, e al miglioramento di questa circolazione tramite l'allenamento. Semplificando, è l’efficienza con cui il sangue raggiunge le parti del corpo sotto sforzo.
Fosfocreatina: composto energetico immagazzinato nei muscoli che agisce come una riserva di energia rapida per le contrazioni muscolari intense e di breve durata.
Risintesi della fosfocreatina: avviene quando l'organismo, durante uno sforzo muscolare intenso e breve, utilizza la riserva di fosfocreatina per cedere il suo gruppo fosfato all'adenosina difosfato (ADP) e rigenerare rapidamente l'adenosina trifosfato (ATP), la molecola che fornisce energia alle cellule.
Ciclo energetico for dummies: ATP rilascia un gruppo fosfato per dare energia alle cellule e si trasforma in ADP. A questo punto ADP attinge dalla riserva di fosfocreatina e recupera il gruppo fosfato ceduto prima, ritrasformandosi nuovamente in ATP pronto a fornire nuova energia alle cellule e così via, fino a esaurimento scorte.
Richieste metaboliche: fabbisogno energetico dell’organismo